Sostenibilità del packaging tra qualità e servizio, la regola delle quattro “R”

di Giuseppe Rossiello e Giancarlo Colelli*

A causa dei continui cambiamenti degli stili di vita della società moderna, si stanno affermando sempre più i “convenience food”, definiti come “qualsiasi alimento già pronto al consumo o che richiede una minima preparazione per essere consumato, capace di ridurre il tempo, lo sforzo fisico e mentale necessari per la sua preparazione e il suo consumo”. All’interno di questa categoria spiccano i prodotti ortofrutticoli di IV Gamma, alimenti pronti al consumo che subiscono minime lavorazioni, con un elevato valore nutrizionale, in grado di rispettare la cultura gastronomica italiana nonché la dieta mediterranea. Questi prodotti presentano un tessuto cellulare vivo in grado di metabolizzare velocemente, processo ulteriormente accelerato dalle operazioni di taglio e pelatura.

A causa di ciò, questi alimenti sono caratterizzati da una breve shelf-life e, per le loro caratteristiche chimico-fisiche e per l’assenza di un processo in grado di abbattere la carica microbica, sono classificati come “rischiosi”. L’imballaggio in atmosfera modificata, attraverso una opportuna riduzione del livello di ossigeno ed aumento del livello di anidride carbonica, è di essenziale importanza per rallentare la perdita di qualità del prodotto e per il mantenimento di adeguati livelli di sicurezza microbica.

L’industria della IV Gamma è spesso messa sotto accusa per l’uso di grandi quantità di plastica, sebbene, in un discorso complessivo, bisognerebbe tener conto del fatto che diversi studi hanno dimostrato che dall’analisi del ciclo di vita di un’insalata in busta la fase di packaging è quella che provoca meno problemi in termini di impatti sull’ambiente, che la plastica utilizzata è totalmente del tipo riciclabile, e che anche il corrispondente prodotto di prima Gamma avrebbe comunque l’esigenza di essere in qualche modo confezionato.

Tuttavia, lo smaltimento dei materiali plastici è comunque uno dei problemi prioritari della società moderna e proprio in questi mesi, l’Unione Europea è in procinto di licenziare una nuova normativa con la finalità dichiarata di ridurre l’uso di plastica, anche nel settore dell’ortofrutta, con possibili pesanti sconvolgimenti proprio nel settore dei prodotti di IV Gamma.

In ogni caso, indipendentemente da quella che sarà la nuova normativa, le strategie che possono essere adottate per ridurre l’impatto dell’uso di plastica sul pianeta (con particolare riferimento alla massiccia dispersione di materiale plastico con risvolti sia sull’ambiente che sulla salute umana), possono essere riassunte nel principio delle quattro R.

  • Riduzione (Reduce). Viene definito “overpackaging” l’uso di materiale plastico di imballaggio in quantità eccessiva rispetto a quello strettamente necessario per la salvaguardia della qualità del prodotto e per la riduzione degli sprechi alimentari. Spesso l’overpackaging viene utilizzato per aumentare le vendite in segmenti di mercato per i quali i consumatori percepiscono una confezione “abbondante” come un sinonimo di qualità. Fortunatamente non tutti i consumatori lo percepiscono come un attributo di qualità e sulla base di alcuni loro atteggiamenti negativi nei confronti di questa tendenza, le aziende della grande distribuzione hanno chiesto ai produttori di ridurre le dimensioni degli imballaggi. Ma fino a che livello si può ridurre il packaging? Per attuare questa soluzione è necessario individuare il volume minimo di sicurezza dei prodotti ortofrutticoli di IV gamma, ovvero la dimensione più piccola dell’imballaggio che può contenere una determinata quantità di prodotto senza causare stress fisiologico di tipo fermentativo e/o danni meccanici al prodotto, anche in considerazione della sua lavorabilità con le macchine di confezionamento. Tuttavia, a causa dell’eterogeneità delle proprietà barriera dei diversi materiali e delle caratteristiche dei prodotti di IV gamma in termini di dimensioni, forma, velocità di respirazione e resistenza ai danni meccanici, tale volume minimo di sicurezza non è universale, ma andrebbe studiato per ogni tipologia di prodotto ortofrutticolo di IV gamma e per ogni materiale utilizzato. Su questi aspetti non ci sono molti studi, ma una ottimizzazione di tali condizioni potrebbe determinare una riduzione nell’uso di plastica fino al 20-30% senza impattare negativamente sui processi consolidati e sulla qualità del prodotto.
  • Riuso (Re-use). Nel settore della IV Gamma si parla di riuso soprattutto per i packaging secondari, ovvero gli imballaggi (casse) che permettono di raggruppare singole unità di vendita, per i quali soluzioni tecnologiche volte alla riduzione del volume dei vuoti, ha comportato l’implementazione di efficienti strutture logistiche di circolazione delle casse. Esistono soluzioni che permettono il riuso degli imballaggi secondari, anche per la movimentazione/conservazione della materia prima attraverso l’uso di bin con coperchi a tenuta, forniti di particolari membrane per regolare lo scambio gassoso dei prodotti all’interno e quindi creare di atmosfere modificate ottimali in relazione alle esigenze del prodotto. Le membrane permettono di modulare l’ingresso di ossigeno e la fuoriuscita di anidride carbonica dal bin, creando determinate condizioni gassose nello spazio di testa utili al mantenimento della qualità dei prodotti ortofrutticoli. In relazione all’intensità della respirazione e alla quantità di prodotto immesso all’interno dei bin, le membrane si possono aprire in maniera più o meno marcata per consentire un livello adeguato di ossigeno, e quindi rallentare la respirazione del prodotto ortofrutticolo e al contempo evitare fermentazioni indesiderate. Naturalmente queste tipologie di bin possono essere riutilizzati sullo stesso prodotto o su prodotti diversi, dopo una opportuna sanificazione. Per ciò che riguarda imballaggi primari riusabili nel caso dei prodotti di IV gamma si potrebbe si potrebbe prendere in considerazione l’utilizzo dei packaging in vetro. Purtroppo, il vetro è un materiale che non permette lo scambio gassoso, per cui, si dovrebbe demandare lo scambio gassoso ad una membrana polimerica inserita nel coperchio del contenitore, magari con proprietà barriera differenti in relazione alle esigenze dei diversi mix di prodotto presenti nel contenitore. Il vetro è facilmente riutilizzabile ma i limiti al suo utilizzo sono di natura prettamente economica. Le operazioni di sanificazione, di movimentazione, e di stoccaggio dei packaging in vetro sono notoriamente più costose rispetto a quelle dei materiali plastici, ed inoltre bisognerebbe utilizzare delle confezioni standard che si adattino alle esigenze dei produttori, anche per limitare al massimo trasferimenti di contenitori vuoti su lunghe distanze.
  • Sostituzione (Replace). In accordo con i progressi tecnologici e le necessità individuate dalla FAO nell’Agenda 2030, la comunità scientifica sta studiando strategie per il rimpiazzo dei materiali di natura fossile con materiali “bio-based”. Questi nuovi materiali si stanno affermando come i veri protagonisti della lotta all’uso eccessivo delle plastiche di natura petrolchimica. Sono materiali che provengono da fonti rinnovabili, che permettono da un lato un minore consumo delle risorse naturali del pianeta e dall’altro, essendo biodegradabili, la riduzione drastica della plastica rilasciata nell’ambiente. Il loro utilizzo per il confezionamento dei prodotti di IV gamma trova però limitazioni a causa del loro costo eccessivo, ma anche per le caratteristiche tecnologiche non sempre in linea con le esigenze del prodotto. Ad esempio, le proprietà barriera all’ossigeno dell’acido polilattico (un polimero ottenuto dai prodotti di fermentazione dei carboidrati del mais) sono) troppo elevate mentre per il vapore acqueo sono troppo ridotte. Ciò significa che si possono creare condizioni di anaerobiosi e/o eccessive disidratazioni nei prodotti confezionati, con conseguente minore shelf-life. Entro certi limiti, attraverso la microperforazione laser si possono modulare le proprietà barriera del materiale, ma occorre fare specifiche sperimentazioni sugli equilibri gassosi che si vengono a creare nello spazio di testa, con particolare riferimento al contenuto relativo di ossigeno ed anidride carbonica. Inoltre, l’acido polilattico richiederebbe anche alcuni cambiamenti nella gestione del fine vita, in relazione alla necessità di trattamenti termici che ne assicurino la immediata biodegradabilità. Altri tentativi di sostituzione hanno riguardato l’uso di imballaggi in cellulosa (carta) che, in termini di tecnologie di gestione del fine vita, rappresenta il materiale più conveniente. La carta però ha proprietà barriera lontanissime dalle esigenze del prodotto di IV gamma, nonostante diversi studi recenti stiano mettendo a punto tecniche in grado di modulare tali proprietà attraverso l’aggiunta nel mix di sostanze naturali. Allo stato attuale la carta utilizzata per le buste di insalate è in genere accoppiata ad uno strato di materiale plastico che (per quanto ridotto) moduli le proprietà barriera e assicuri la necessaria saldabilità della confezione. L’accoppiamento di tali materiali però comporta maggiori problemi in fase di riciclo del materiale cartaceo.
  • Riciclo (Recycle). In genere i materiali plastici provenienti dal riciclo hanno caratteristiche qualitative inferiori rispetto ai corrispondenti prodotti vergini; in particolare la maggior parte di essi sono destinati ad un uso non alimentare. La normativa attuale però consente di ottenere imballaggio destinati all’uso alimentare anche dal PET (polietilene tereftalato) riciclato che prende il nome di RPET. Alla luce di quanto detto sarebbe quindi auspicabile un maggior utilizzo di tale materiale per i prodotti di IV gamma, cercando di risolvere (anche in questo caso, con l’uso oculato della microperforazione laser) i problemi legati alle sue proprietà barriera. Al contrario, il polipropilene, che rappresenta il principale materiale attualmente utilizzato per il confezionamento dei prodotti di IV gamma, presenta notevoli problemi di qualità del prodotto riciclato; come materiale riciclato non può essere destinato all’uso alimentare (anche se esistono comunque notevoli altre applicazioni), ma ogni ciclo di riciclaggio crea ulteriori problemi di qualità che normalmente consente un massimo di tre cicli di riciclo, limite oltre il quale il materiale perde le proprietà funzionali. Una importante prospettiva da questo punto di vista è rappresentata dall’implementazione di tecnologie di riciclo di tipo chimico in affiancamento (o in alternativa) alle attuali tecnologie di riciclo di tipo fisico. Al momento però questa possibilità non esiste per ragioni normative. In ogni caso, la strategia del riciclaggio, seppure riduca l’uso di plastica di natura fossile, non elimina del tutto il suo utilizzo.

L’adozione più o meno combinata di queste strategie dovrebbe essere considerata nella fase di progettazione di un imballaggio (di qualunque tipologia e per qualunque prodotto) al fine di tener conto sia delle esigenze tecnologiche associate all’imballaggio (contenimento, protezione, comunicazione, ed estensione della vita commerciale), ma anche dell’impatto ambientale e della sostenibilità globale del processo produttivo.

La progettazione ecocompatibile implica l’integrazione di valutazioni ambientali con l’obiettivo di minimizzare l’impatto ambientale durante l’intero arco del ciclo di vita. L’Azione COST (Cooperation in Science and Technology) “CIRCUL-A-BILITY”, finanziata dalla Commissione Europea è una rete di attori coinvolti in tutte le discipline che riguardano il packaging alimentare: dai materiali alle tecnologie alimentari, dalle analisi di sostenibilità alle dinamiche dei consumatori, dalle politiche dell’ambiente alle problematiche delle contaminazioni chimiche, dal riciclaggio all’economia circolare.

Oltre 230 scienziati da 37 Paesi (europei e non) hanno creato un forum per discutere su come sviluppare imballaggi alimentari per il futuro rispettosi dell’ambiente. L’interdisciplinarietà nell’approccio rappresenta uno dei punti di forza di CIRCUL-A-BILITY. L’altro aspetto importante è che fanno parte dell’Azione centri di ricerca pubblici e privati, imprese di produzione e distribuzione di alimenti, imprese di materiali e tecnologie per il packaging, agenzie pubbliche ed organizzazioni non governative, associazioni di categoria. Per maggiori informazioni www.circul-a-bility.org.

Università di Foggia, Dipartimento DAFNE

Di sostenibilità del packaging degli ortofrutticoli freschi in relazione al contenuto in servizio e alla qualità si discuterà in una Sessione dedicata durante FRESH-CUT 2024, the International Conference on Fresh-cut Produce (www.unifg.it/freshcut.2024), di cui Fresh Cut News è media partner

 

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