La notizia della ricerca pubblicata dall’Università di Catania che ha individuato la presenza di nano-plastiche (particelle piccolissime dell’ordine da 1 a 100 nanometri) anche nella parte edibile (la polpa) di frutta e verdura, anticipata da Fresh Cut News la settimana scorsa, ha scatenato un dibattito nel mondo scientifico e lo scatenerà anche a livello istituzionale perché, allo stato attuale questo tipo di problematica (ossia la presenza di questi inquinanti) è stata studiata e normata solo per quel che attiene all’ambiente, ossia mari, falde acquifere, pesci che peraltro risultano molto più inquinati dell’ortofrutta.
Non ci sono peraltro studi che permettano di capire il comportamento delle nano-plastiche una volta ingerite dal corpo umano, né quali possibili conseguenze possano derivare per la sua salute.
“Siamo molto in ritardo con la ricerca da questo punto di vista – spiega Maria Grazia Volpe, ricercatrice CNR in Scienze dell’alimentazione – e l’EFSA, l’Authority europea per l’alimentazione, sta cercando studi, che non ci sono, per un dossier destinato alla Commissione UE. Il tema dell’inquinamento dell’ortofrutta è un tema nuovo, prevedibile, peraltro, che apre uno scenario su cui riflettere. Temiamo che queste nano-plastiche, una volta ingerite, possano essere degli interferenti endocrini, capaci cioè di interferire con il sistema immunitario e abbassare le nostre difese naturali”.
Sappiamo da tempo che le nano-plastiche si trovano nell’ambiente (il terreno, l’acqua e l’aria) sia per processi di degradazione della plastica usata quotidianamente come, ad esempio, quella in agricoltura (i teloni del parco serricolo italiano peraltro vetusto, i teli per la pacciamatura o il polistirolo che degradano in nanoparticelle dai 10 ai 30 anni) sia perché le nano-plastiche sono molto usate nell’industria edile, ad esempio, o anche tessile o in quella farmaceutica come eccipienti sintetici (e quindi low cost). Solo dal gennaio di quest’anno è vietato usare nano-plastiche nel settore della cosmesi.
“Il ministero dell’Ambiente – afferma Vito Felice Uricchio (nella foto) del CNR-IRSA – ci ha chiesto di presentare, entro il prossimo 4 luglio, un progetto di legge che prenda in considerazione questa problematica già emersa, ad esempio, per la presenza riscontrata di questo tipo di inquinanti nelle acque del mare e quindi nei pesci. Ora, si apprende che si trovano anche nell’ortofrutta. La bozza, dopo l’analisi del ministero dell’Ambiente, dovrà passare il vaglio del ministero per lo Sviluppo Economico. I tempi sono decisamente incerti”.
Quello che emerge dagli studi condotti da Uricchio sull’inquinamento delle acque a causa delle nano e micro-plastiche, è la velocità con cui queste si propagano proprio perché piccolissime e invisibili all’occhio umano. “Prendiamo ad esempio i tessuti sintetici che sono sempre più diffusi – precisa Uricchio -. Lavando in lavatrice, ad esempio, una sciarpa acrilica, si disperdono nell’acqua di scarico, circa 300 mila particelle di micro-plastiche. Per ogni calza di nylon se ne disperdono 136 mila. Il problema di queste micro-particelle è che sono dei collettori di altri inquinanti, fungono da magneti che possono attirare ad esempio i residui di fitofarmaci, i metalli pesanti o i PCB, (policlorobifenili, quelli che si trovano a Taranto e nei poli industriali analoghi), questi ultimi ancora molto difficili da analizzare”.
La mancanza di studi scientifici sulle conseguenze dirette per la salute umana della presenza di microplastiche nel corpo umano, rappresenta un gap che si riflette anche da un punto di vista normativo. Attualmente è in corso un processo normativo europeo, presso la Commissione, basato su restrizioni all’uso di nano-plastiche proposte dall’ECHA, la European Chemicals Agency, che dovrebbe vedere la prima bozza tecnica in discussione a breve al Parlamento Europeo per arrivare ad una bozza finale approvata dalla Commissione UE entro il 2021.
“E’ molto probabile – sottolinea Uricchio – che le microplastiche ingerite dal corpo umano, possano interagire con tutti gli organi filtranti come il fegato, ad esempio, i reni, il cuore, i polmoni o anche con il sistema nervoso. Per capire l’impatto abbiamo messo in piedi un progetto di studio da 10 milioni di euro sulla ‘Tossicinetica’ con cui stiamo partecipando ad un bando MUR. L’obiettivo è quello di definire i metodi, che oggi mancano, per calcolare l’impatto sulla salute, sull’ambiente, sull’aria ed in tutti i tipi i contesti in cui si trovano. Misurare la loro presenza nel corpo umano, singolarmente considerato, è un passo fondamentale se si pensa che sono, ad oggi, conosciute 10 mila plastiche e 100 mila inquinanti”.
Secondo Uricchio, comunque, basterebbe si usassero tre accorgimenti per ridurre la presenza delle micro-plastiche persino della metà: evitare di usarle nei vari settori industriali implicati; sostituire le plastiche con le bio-plastiche e introdurre dei filtri nelle lavatrici per impedire che le disperdano nell’ambiente.
Mariangela Latella