C’è una forbice di circa 60 grammi di emissioni di CO2 equivalente, nel confronto tra la produzione di un chilo Valerianella di prima gamma e quella corrispondente di IV Gamma. Questa forbice, per quanto marginale, rappresenta la sfida della nuova éra della IV Gamma, quella che arriva dopo il boom dato dalla novità della categoria, sbarcata in Italia più di venti anni fa e che ora si fronteggia con consumatori consapevoli, attenti ai valori salutistici ed etici dei prodotti che consumano ma comunque sempre più orientati al ready-to-eat per i cambiamenti delle abitudini alimentari e la riduzione dei tempi da dedicare alla cucina e al pasto.
Il calcolo delle immissioni in atmosfera per chilo di prodotto (392 grammi di CO2 equivalente), è stato ottenuto da uno studio dell’Università di Milano condotto dal professor Riccardo Guidetti del Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali sul life cycle assessment della Valerianella di IV Gamma che ha evidenziato come l’impatto ambientale della trasformazione in stabilimento incide marginalmente su tutto il ciclo di vita del prodotto rispetto a quanto non faccia l’intera fase di coltivazione che, da sola, impatta per più del 33% su quei 392 grammi di immissioni di CO2 equivalente per chilo.
“All’impatto ambientale della fase agricola – afferma il prof. Guidetti – bisogna aggiungere anche quello del traporto del prodotto finito agli scaffali e quello dell’imballo secondario, tutte fasi di lavorazione che valgono sia per la prima che per la IV Gamma. Mentre se si guarda alla fase di lavaggio e di imballo primario, l’impatto è relativamente marginale. Ad esempio in termini di uso dell’acqua anche per via della possibilità di riciclarla, come avviene nel 60% circa delle aziende trasformatrici. In questo caso però bisogna considerare un aumento dei costi dell’energia elettrica per pomparla nelle fasi di riciclo. Il confezionamento, il cosiddetto imballo primario, per contro, non incide in maniera significativa rispetto alla fase di campo (circa il 10%) e di processo anche se determina un maggiore impatto sull’eutrofizzazione dell’acqua dolce per lo meno nel caso aziendale da noi considerato che vedeva l’uso di film in polipropilene”.
Importante specificare il metodo di calcolo usato che è quello offerto dal software SimaPro che ha interrogato come data base Ecoinvent 2.2 ELCD, ossia l’European Reference Lyfe Cycle Database e l’Industry database version 2.0 Detec. I risultati possono, infatti, essere diversi in base ai modelli di calcolo usati.
Tra le misure per ridurre l’impatto ambientale raccomandate c’è quella di accorciare la distanza tra il campo e l’impianto di trasformazione così da abbattere l’impatto del trasporto della materia prima verso lo stabilimento.
Sono sfide sul tavolo dei produttori anche perché si va, per il ready-to-eat, verso una domanda crescente.
Precisa il professor Giancarlo Colelli dell’Università di Foggia, tra i massimi esperti al mondo di IV Gamma: “Posto che sia universalmente accettato il fatto che è necessario aumentare la componente di frutta e ortaggi nella dieta, ogni kg di CO2 prodotta per un alimento “nobile” come l’ortofrutta è molto ‘più conveniente’ di un kg di CO2 prodotta per un altro qualsiasi alimento (soprattutto quelli il cui uso è sconsigliato dai nutrizionisti). Peraltro, nell’industria della IV Gamma la resa in prodotto finale è abbastanza bassa, se si considera che lo sfrido medio è superiore al 50 per cento”.
Più delicato l’intervento sul fronte del packaging, dal momento che le soluzioni alternative offerte dal mondo della ricerca devono essere compatibili con il concetto di atmosfera modificata che permette l’estensione della shelf-life del prodotto contenuto nella confezione. Ma anche su questo aspetto la partita è ancora tutta da giocare.
Mariangela Latella